volume illustrato Collana: OL - Odoya Library Numero di collana: 270 Isbn: 978-88-6288-407-5 Pagine: 272 Formato: copertina flessibile con alette Misure: 15.5 x 21 cm Data di pubblicazione: 2017
Autore: Al Alvarez

Il dio selvaggio

Suicidio e letteratura

Al Alvarez

Il dio selvaggio

Suicidio e letteratura

Al Alvarez

sconto 5%
17,10€ 18,00€

Perché gli artisti, da Petronio a Pavese a Sylvia Plath, sono attratti dalla morte al punto di preferirla alla vita? La storia della letteratura e dell’arte è piena di suicidi veri e di suicidi intellettuali. Il confine tra questi due modi di chiudere i conti con la vita – Kafka che decreta la distruzione delle sue opere, Hemingway che si uccide veramente – è molto labile e difficile da definire. Anche se non viviamo più in un’epoca in cui il rapporto fra l’artista e la vita è dominato dalla tensione verso il sublime gesto romantico, tuttavia la tentazione del suicidio è ancora suggestiva.
Al Alvarez, noto critico letterario inglese che ha tentato egli stesso il suicidio, ci racconta l’avventura del suo viaggio di "andata e ritorno" fino al termine della vita, giungendo a intuizioni che sfuggono agli esperti di psichiatria, sociologia e statistica. Il dio selvaggio costituisce infatti un tentativo di strappare il suicidio dal campo della teoria per riportarlo a quello della dimensione umana, collegandolo alla visione della vita e dei costumi come si è manifestata nei vari periodi storici. Il suicidio è sempre esistito; tanto più esiste nella nostra epoca in cui la condizione umana poggia su basi così fragili come già ci preannuncia il suicidio di Van Gogh a fine Ottocento e come ci conferma Pavese con il suo drammatico "Non parole. Un gesto": un modo stoico per "venire a patti con la morte", l’unica libertà per i nostri tempi, come rilevava Camus. Così, sostiene Alvarez, l’uomo moderno – di cui l’intellettuale rappresenta la coscienza più esposta alle sollecitazioni del "dio selvaggio", vittima di un’angosciosa solitudine che lo spinge a scegliere la via della morte piuttosto che accettare la sconfitta della vita – paga uno scotto che non ha precedenti nei secoli passati.

"Scrivere di suicidio, trasformare questo soggetto in qualcosa di bello:
questo è il proibitivo obiettivo che Al Alvarez si è posto.
E ci è riuscito appieno."
New York Times

"Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi."
– Cesare Pavese –

"L’ossessione del suicidio è propria di colui che non può né vivere né morire,
e la cui attenzione non si allontana mai da questa duplice impossibilità."
– Emil Cioran –

"Morire è un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione."
– Sylvia Plath –

Al Alvarez

è nato a Londra nel 1929 e ha studiato a Oxford. Dopo aver ottenuto varie borse di studio in Inghilterra e negli Stati Uniti, nel 1956 ha lasciato il mondo accademico per diventare uno scrittore freelance. Per interi decenni è stato un brillante critico letterario per l’Observer e critico drammatico per il New Statesman.
Ha pubblicato numerosi saggi letterari e sociologici – tra cui il reportage sul poker The Biggest Game in Town (Nuova Frontiera 2014) – e un volume di poesie.

Nessun sommario presente.

Perché gli artisti, da Petronio a Pavese a Sylvia Plath, sono attratti dalla morte al punto di preferirla alla vita? La storia della letteratura e dell’arte è piena di suicidi veri e di suicidi intellettuali. Il confine tra questi due modi di chiudere i conti con la vita – Kafka che decreta la distruzione delle sue opere, Hemingway che si uccide veramente – è molto labile e difficile da definire. Anche se non viviamo più in un’epoca in cui il rapporto fra l’artista e la vita è dominato dalla tensione verso il sublime gesto romantico, tuttavia la tentazione del suicidio è ancora suggestiva.
Al Alvarez, noto critico letterario inglese che ha tentato egli stesso il suicidio, ci racconta l’avventura del suo viaggio di "andata e ritorno" fino al termine della vita, giungendo a intuizioni che sfuggono agli esperti di psichiatria, sociologia e statistica. Il dio selvaggio costituisce infatti un tentativo di strappare il suicidio dal campo della teoria per riportarlo a quello della dimensione umana, collegandolo alla visione della vita e dei costumi come si è manifestata nei vari periodi storici. Il suicidio è sempre esistito; tanto più esiste nella nostra epoca in cui la condizione umana poggia su basi così fragili come già ci preannuncia il suicidio di Van Gogh a fine Ottocento e come ci conferma Pavese con il suo drammatico "Non parole. Un gesto": un modo stoico per "venire a patti con la morte", l’unica libertà per i nostri tempi, come rilevava Camus. Così, sostiene Alvarez, l’uomo moderno – di cui l’intellettuale rappresenta la coscienza più esposta alle sollecitazioni del "dio selvaggio", vittima di un’angosciosa solitudine che lo spinge a scegliere la via della morte piuttosto che accettare la sconfitta della vita – paga uno scotto che non ha precedenti nei secoli passati.

"Scrivere di suicidio, trasformare questo soggetto in qualcosa di bello:
questo è il proibitivo obiettivo che Al Alvarez si è posto.
E ci è riuscito appieno."
New York Times

"Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi."
– Cesare Pavese –

"L’ossessione del suicidio è propria di colui che non può né vivere né morire,
e la cui attenzione non si allontana mai da questa duplice impossibilità."
– Emil Cioran –

"Morire è un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione."
– Sylvia Plath –

volume illustrato Collana: OL - Odoya Library Numero di collana: 270 Isbn: 978-88-6288-407-5 Pagine: 272 Formato: copertina flessibile con alette Misure: 15.5 x 21 cm Data di pubblicazione: 2017
Autore: Al Alvarez
Nessun sommario presente.
Al Alvarez

è nato a Londra nel 1929 e ha studiato a Oxford. Dopo aver ottenuto varie borse di studio in Inghilterra e negli Stati Uniti, nel 1956 ha lasciato il mondo accademico per diventare uno scrittore freelance. Per interi decenni è stato un brillante critico letterario per l’Observer e critico drammatico per il New Statesman.
Ha pubblicato numerosi saggi letterari e sociologici – tra cui il reportage sul poker The Biggest Game in Town (Nuova Frontiera 2014) – e un volume di poesie.

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